Nel 1786, Charles Wilson Peale apre il Natural History Museum di Filadelfia, da cui prende avvio una forma primordiale di exhibition design modernamente inteso, dove diorami, falsi paesaggi e ritratti contribuiscono a rivelare una precisa volontà di “mediatizzazione” del museo. Anche ai nostri giorni le istituzioni museali provano a risolvere le problematiche di “pubblicizzazione” e a fornire, anche al più inesperto visitatore, gli strumenti per individuare il racconto delle “cose” esposte. Peale, osserva Gary Kulik, nel concepire il suo museo come un luogo di intrattenimento per tutti piuttosto che come luogo di alta cultura, gioca un ruolo di vero antesignano della museografia moderna. Attualmente il pubblico richiede un contatto più emozionale, costringendo alla progettazione di allestimenti più incisivi ed altamente narrativi. Se fino ad un recente passato l’architettura dei musei ha mostrato maggiore attrito nei confronti dell’innovazione – mentre è stato l’allestimento a farsi per primo elemento trainante verso l’evoluzione – oggi contribuisce decisamente nella definizione del contesto museale. In risposta alle nuove istanze museologiche, è possibile produrre nuovi spazi interni, ideati per coadiuvare l’allestimento nell’esercizio di un potere evocativo, simbolico ed emozionale. Il Canadian Museum of Civilisation (Ottawa) combina in modo creativo interni ed apparati museografici che, supportati da una moderna tecnologia multimediale, “raccontano” cultura e territorio di una civiltà anche in assenza dell’oggetto materiale, spostando l’attenzione dalla contemplazione delle “cose” alla loro “evocazione”. In altre realtà, vedi la sezione “Africa” del Field Museum of Chicago, la ricerca museografica sperimenta la rappresentazione della natura negli spazi interni riproponendo oggetti e contesti interamente ricostruiti, come in una sorta di “dislocazione immaginaria”. L’atavico desiderio di recuperare un rapporto più armonico tra uomo e natura impone l’elaborazione di nuove strategie di rappresentazione e comunicazione del paesaggio naturale. Oggi, sulla scia delle esperienze del passato, il gesto “interpretativo” può rimandare allo stato edenico e rievocare sensazioni ed atmosfere ad esso legate. Da tempo, tanto nei musei preistorici e naturalistici, quanto in quelli scientifici ed etnografici, ha preso il via un processo di ricomposizione ed interpretazione del binomio “Geografia e Storia”, nel quale l’architettura degli interni assume un carattere simbolico, fortemente empatico, connesso inscindibilmente al potere semiotico dell’allestimento che accoglie.

Interiors and Exhibits: narrative in motion

Accardi ARD
2008-01-01

Abstract

Nel 1786, Charles Wilson Peale apre il Natural History Museum di Filadelfia, da cui prende avvio una forma primordiale di exhibition design modernamente inteso, dove diorami, falsi paesaggi e ritratti contribuiscono a rivelare una precisa volontà di “mediatizzazione” del museo. Anche ai nostri giorni le istituzioni museali provano a risolvere le problematiche di “pubblicizzazione” e a fornire, anche al più inesperto visitatore, gli strumenti per individuare il racconto delle “cose” esposte. Peale, osserva Gary Kulik, nel concepire il suo museo come un luogo di intrattenimento per tutti piuttosto che come luogo di alta cultura, gioca un ruolo di vero antesignano della museografia moderna. Attualmente il pubblico richiede un contatto più emozionale, costringendo alla progettazione di allestimenti più incisivi ed altamente narrativi. Se fino ad un recente passato l’architettura dei musei ha mostrato maggiore attrito nei confronti dell’innovazione – mentre è stato l’allestimento a farsi per primo elemento trainante verso l’evoluzione – oggi contribuisce decisamente nella definizione del contesto museale. In risposta alle nuove istanze museologiche, è possibile produrre nuovi spazi interni, ideati per coadiuvare l’allestimento nell’esercizio di un potere evocativo, simbolico ed emozionale. Il Canadian Museum of Civilisation (Ottawa) combina in modo creativo interni ed apparati museografici che, supportati da una moderna tecnologia multimediale, “raccontano” cultura e territorio di una civiltà anche in assenza dell’oggetto materiale, spostando l’attenzione dalla contemplazione delle “cose” alla loro “evocazione”. In altre realtà, vedi la sezione “Africa” del Field Museum of Chicago, la ricerca museografica sperimenta la rappresentazione della natura negli spazi interni riproponendo oggetti e contesti interamente ricostruiti, come in una sorta di “dislocazione immaginaria”. L’atavico desiderio di recuperare un rapporto più armonico tra uomo e natura impone l’elaborazione di nuove strategie di rappresentazione e comunicazione del paesaggio naturale. Oggi, sulla scia delle esperienze del passato, il gesto “interpretativo” può rimandare allo stato edenico e rievocare sensazioni ed atmosfere ad esso legate. Da tempo, tanto nei musei preistorici e naturalistici, quanto in quelli scientifici ed etnografici, ha preso il via un processo di ricomposizione ed interpretazione del binomio “Geografia e Storia”, nel quale l’architettura degli interni assume un carattere simbolico, fortemente empatico, connesso inscindibilmente al potere semiotico dell’allestimento che accoglie.
2008
978-88-89683-18-7
exhibition design; interiors; diorama; comunicazione; musei
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12078/3156
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