Il termine “crisi” emerge nel diritto fallimentare vigente come categoria concettuale priva di una precisa connotazione giuridica, collocandosi nell'ampio alveo della distinzione tra insolvenza, reversibile e irreversibile, e temporanea difficoltà ad adempiere. I vari riferimenti normativi allo stato di crisi introdotti con la riforma (ex artt. 160, 182-bis, 67, co. 3. Lett. e) ecc. Legge fall.) sembrano avere in comune sul piano giuridico la distinzione dalla situazione di insolvenza (art. 5 Legge fall.), identificando situazioni di squilibrio economico-finanziario (in ipotesi) reversibile, ove l’impresa – godendo (ancora) di credito – pare idonea a produrre valore e, quindi, si ritiene possa restare sul mercato. Seppure al limitato effetto della ricorrenza dei presupposti di ammissione al concordato preventivo (art. 160, ult. Comma, l. fall.) la “crisi” si estende, lambendola, sino all’insolvenza, vero spartiacque incontrastato, sino a tempi recenti, del “diritto fallimentare”. Ma in tal modo si pone un discrimine tra crisi e insolvenza, ponendo il problema di definire lo stato di crisi, di cui il legislatore della Riforma, nonostante i reiterati interventi, non ha dato alcuna nozione, pur essendo numerose le norme che lo prevedono. Il concetto di crisi, se appare sfuggente sul piano giuridico, si presta ad una precisa definizione su quello economico, in cui può definirsi come “quel processo degenerativo che rende la gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio o di inefficienza, di origine interna o esterna, che determinano appunto la produzione di perdite, di varia entità, che a loro volta possono determinare l’insolvenza che costituisce, più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto” . Ma se tale è la connotazione economica dello “stato di crisi”, si spiega perché gli studiosi, ritenendo il concetto indefinito, si siano mostrati in genere restii a delinearne una nozione giuridica, che anche oggi non sembra agevole delineare se non, appunto, in negativo, come ampia area che giunge sino al limite oltre il quale lo squilibrio economico-finanziario diventa irreversibile.

Appunti sulla nozione giuridica di “crisi” d'impresa come stato di non insolvenza (irreversibile)

Andrea Maria Azzaro
2016-01-01

Abstract

Il termine “crisi” emerge nel diritto fallimentare vigente come categoria concettuale priva di una precisa connotazione giuridica, collocandosi nell'ampio alveo della distinzione tra insolvenza, reversibile e irreversibile, e temporanea difficoltà ad adempiere. I vari riferimenti normativi allo stato di crisi introdotti con la riforma (ex artt. 160, 182-bis, 67, co. 3. Lett. e) ecc. Legge fall.) sembrano avere in comune sul piano giuridico la distinzione dalla situazione di insolvenza (art. 5 Legge fall.), identificando situazioni di squilibrio economico-finanziario (in ipotesi) reversibile, ove l’impresa – godendo (ancora) di credito – pare idonea a produrre valore e, quindi, si ritiene possa restare sul mercato. Seppure al limitato effetto della ricorrenza dei presupposti di ammissione al concordato preventivo (art. 160, ult. Comma, l. fall.) la “crisi” si estende, lambendola, sino all’insolvenza, vero spartiacque incontrastato, sino a tempi recenti, del “diritto fallimentare”. Ma in tal modo si pone un discrimine tra crisi e insolvenza, ponendo il problema di definire lo stato di crisi, di cui il legislatore della Riforma, nonostante i reiterati interventi, non ha dato alcuna nozione, pur essendo numerose le norme che lo prevedono. Il concetto di crisi, se appare sfuggente sul piano giuridico, si presta ad una precisa definizione su quello economico, in cui può definirsi come “quel processo degenerativo che rende la gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio o di inefficienza, di origine interna o esterna, che determinano appunto la produzione di perdite, di varia entità, che a loro volta possono determinare l’insolvenza che costituisce, più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto” . Ma se tale è la connotazione economica dello “stato di crisi”, si spiega perché gli studiosi, ritenendo il concetto indefinito, si siano mostrati in genere restii a delinearne una nozione giuridica, che anche oggi non sembra agevole delineare se non, appunto, in negativo, come ampia area che giunge sino al limite oltre il quale lo squilibrio economico-finanziario diventa irreversibile.
2016
Crisi insolvenza
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12078/7945
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