Nel vasto panorama delle preesistenze archeologiche da conservare e trasmettere, una questione molto singolare è rappresentata dalla presenza delle rovine “in cripta”, una situazione che obbliga alla relazione con la presenza di stratificazioni ineludibili e impone forti limitazioni e costrizioni spaziali. Molto frequentemente, questa tipologia di “musei sotterranei” è chiamata a risolvere problemi d’interpretazione e di riconoscimento delle tracce archeologiche, poiché queste, determinate da differenti fasi di costruzione, si propongono “tutte insieme” agli occhi dei visitatori. Considerando che le tradizionali politiche di promozione culturale hanno come principale obiettivo il recupero dell’identità di una Nazione, ottenibile sia con grandi azioni di valorizzazione, sia attraverso un minuzioso recupero delle testimonianze diffuse nel territorio, questa volontà di presentare ad “ogni costo”, ove possibile, anche quella parte di emergenze ancora seppellite o poste a livelli inferiori rispetto al piano di posa delle rovine emerse, fa affermare sia una diversa metodologia di conservazione, sia un parallelo palinsesto di strategie di musealizzazione delle vestigia, le quali generalmente si confrontano con la presenza, fortemente condizionante, di paramenti murari o intelaiature di sostegno dei lugohi e degli edifici soprastanti. Accade dunque che gli itinerari tra le rovine, raramente districati, sono usualmente affidati a camminamenti perimetrali più o meno sospesi, arricchiti dalla ricreazione di atmosfere suggestive, ottenute impiegando ricercati sistemi di illuminazione e, qualche volta, impianti di diffusione sonora che anticipano e rievocano le funzioni e gli usi di quegli ambienti dei quali rimane poca traccia. Un’ulteriore singolarità all’interno di questa casistica emerge dall’esame di determinate condizioni di suoli archeologici i quali, accogliendo edifici provenienti da diverse stratificazioni storiche e collocati ad altimetrie molto differenti tra loro, impongono una metodologia difforme dalle quelle applicate nella conservazione delle rovine open-air o “in scatola”, che le esperienze internazionali ci hanno abituato a fruire. Dunque, anche nel caso in cui si stabilisce di insediare un museo archeologico in situ, si è costretti a un confronto con le oggettive difficoltà di conservazione e musealizzazione, le quali, in particolare l’ultima, devono ripiegare verso precisi escamotage se si intende ricostruire un racconto più unitario sull’evoluzione e stratificazione di ognuna delle preesistenze situate in quel sottosuolo. Presenteremo dunque una casistica delle chanches che possono presentarsi nel campo del processo di conoscenza, conservazione e valorizzazione dei siti archeologici “in cripta”, ferma restando la nostra opinione che tutti possano essere praticati, secondo i casi e secondo necessità, anche se, com’è evidente, taluni hanno ormai esaurito la loro funzione storica, con il procedere di nuove forme di consapevolezza sul valore dei manufatti archeologici e sull’importanza della loro conservazione, possibilmente in situ.
La conservazione dell’archeologia “in cripta” e la sua musealizzazione
ACCARDI A
2010-01-01
Abstract
Nel vasto panorama delle preesistenze archeologiche da conservare e trasmettere, una questione molto singolare è rappresentata dalla presenza delle rovine “in cripta”, una situazione che obbliga alla relazione con la presenza di stratificazioni ineludibili e impone forti limitazioni e costrizioni spaziali. Molto frequentemente, questa tipologia di “musei sotterranei” è chiamata a risolvere problemi d’interpretazione e di riconoscimento delle tracce archeologiche, poiché queste, determinate da differenti fasi di costruzione, si propongono “tutte insieme” agli occhi dei visitatori. Considerando che le tradizionali politiche di promozione culturale hanno come principale obiettivo il recupero dell’identità di una Nazione, ottenibile sia con grandi azioni di valorizzazione, sia attraverso un minuzioso recupero delle testimonianze diffuse nel territorio, questa volontà di presentare ad “ogni costo”, ove possibile, anche quella parte di emergenze ancora seppellite o poste a livelli inferiori rispetto al piano di posa delle rovine emerse, fa affermare sia una diversa metodologia di conservazione, sia un parallelo palinsesto di strategie di musealizzazione delle vestigia, le quali generalmente si confrontano con la presenza, fortemente condizionante, di paramenti murari o intelaiature di sostegno dei lugohi e degli edifici soprastanti. Accade dunque che gli itinerari tra le rovine, raramente districati, sono usualmente affidati a camminamenti perimetrali più o meno sospesi, arricchiti dalla ricreazione di atmosfere suggestive, ottenute impiegando ricercati sistemi di illuminazione e, qualche volta, impianti di diffusione sonora che anticipano e rievocano le funzioni e gli usi di quegli ambienti dei quali rimane poca traccia. Un’ulteriore singolarità all’interno di questa casistica emerge dall’esame di determinate condizioni di suoli archeologici i quali, accogliendo edifici provenienti da diverse stratificazioni storiche e collocati ad altimetrie molto differenti tra loro, impongono una metodologia difforme dalle quelle applicate nella conservazione delle rovine open-air o “in scatola”, che le esperienze internazionali ci hanno abituato a fruire. Dunque, anche nel caso in cui si stabilisce di insediare un museo archeologico in situ, si è costretti a un confronto con le oggettive difficoltà di conservazione e musealizzazione, le quali, in particolare l’ultima, devono ripiegare verso precisi escamotage se si intende ricostruire un racconto più unitario sull’evoluzione e stratificazione di ognuna delle preesistenze situate in quel sottosuolo. Presenteremo dunque una casistica delle chanches che possono presentarsi nel campo del processo di conoscenza, conservazione e valorizzazione dei siti archeologici “in cripta”, ferma restando la nostra opinione che tutti possano essere praticati, secondo i casi e secondo necessità, anche se, com’è evidente, taluni hanno ormai esaurito la loro funzione storica, con il procedere di nuove forme di consapevolezza sul valore dei manufatti archeologici e sull’importanza della loro conservazione, possibilmente in situ.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.